Depone a Torino il pentito Spatuzza
La “bomba atomica” dovrebbe scoppiare dietro il paravento bianco uguale a quello degli studi medici ma nessuno ci crede. Per la difesa di Marcello Dell’Utri la testimonianza del pentito Gaspare Spatuzza “è solo un petardo”. Ma anche il pg di Palermo Gatto avverte: “Intorno a questa deposizione ci sono aspettative eccessive. E questo toglie serenità”. È difficile restare sereni contando tutti i morti del killer del Brancaccio che a precisa domanda risponde: “Sono accusato di sei stragi quaranta omicidi”. Difficile misurare la sua attendibilità su suggestioni che non sono ancorate a fatti concreti. Quella di Spatuzza è la carrellata agghiacciante su una carriera criminale che porta solo in fondo alla scoperta di Dio e in mezzo affastella strangolamenti di bambini corpi sciolti nell’acido esibizioni al tritolo.
Sereno malgrado tutto resta il senatore Dell’Utri imputato nel processo d’Appello in trasferta a Torino per ragioni di sicurezza. Dell’Utri – condannato in primo grado a nove anni per concorso in associazione mafiosa – arriva a udienza già iniziata e dice di sentirsi “bene benissimo”. A udienza finita sarà la stanchezza la calma si vela di irritazione: “Il pentito non ha detto niente di nuovo uno così Falcone lo avrebbe denunciato. Chi ci sta dietro a Spatuzza? Delle persone i pm, che ne so io”.
Dietro a Gaspare Spatuzza – sentito a Torino per ragioni di sicurezza – c’è un’aula di giustizia piena di giornalisti studenti avvocati e curiosi che alle otto del mattino facevano la fila davanti ai metal detector. Davanti siede la corte presieduta da Claudio dall’Acqua. È qui per dare sostanza a quello che ha già rivelato ai magistrati di Firenze Palermo e Caltanissetta nei mesi scorsi indicando Dell’Utri e Berlusconi come i referenti politici delle stragi di mafia del 1993.
Ma non lo farà, la bomba non scoppia. Dalla sua deposizione non emerge niente di nuovo. Il pluriomicida imbastisce una lunga storia che a tratti si ripete e si inceppa su dettagli che non tornano si avvita su troppe pause e “non ricordo”. Una cantilena monotona dal forte accento siciliano che storpia i nomi e sbanda sugli avverbi. Parla di “anomalie” nella classica routine degli attentati di sensazioni e cose riferite. Materiale di seconda mano. Racconta di incontri al bar, nei cimiteri e negli ospedali con boss sanguinari e latitanti. Poi lui salta il fosso nel 2006 incontra nella prigione di Ascoli Piceno padre Piero Capoccia nel 2008 decide di collaborare con lo Stato “senza chiedere niente in cambio”. Paura tanta: “La persona che tiravo in ballo stava per diventare presidente del consiglio”. Il nome di Berlusconi – nel racconto di Spatuzza – era spuntato un giorno di fine ’93 davanti a un caffè con Giuseppe Graviano: “Ma chi domando quello di Canale 5?. Graviano mi risponde di sì e aggiunge che in mezzo c’è anche il nostro compaesano Dell’Utri insiste che con un attentato all’Olimpico (mai realizzato) dobbiamo dare il colpo di grazia e ci avrebbero consegnato lo Stato italiano in mano”.