Delitto Cogne: inchiesta bis; l’episodio nel luglio 2004
Il fascicolo della Procura di Torino si riferisce a un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto: il 28 luglio 2004 un gruppo di consulenti di Taormina (italiani e svizzeri) fecero un sopralluogo nella villetta di Cogne in cui due anni prima venne ucciso il bambino, e trovarono tracce che, qualche giorno dopo, portarono a una denuncia che adombrava il coinvolgimento di un guardaparco valdostano, Ulisse Guichardaz. Una denuncia-boomerang, quella firmata da Anna Maria Franzoni che per il delitto del figlio Samuele ha avuto la condanna confermata in Cassazione a 16 anni di carcere, perché le indagini portarono gli inquirenti a sospettare una manipolazione delle prove: da qui l’apertura di un procedimento per calunnia e frode processuale. I periti del gip Pier Giorgio Gosso (compresi degli esperti dell’Fbi) dissero che in alcune delle trentacinque macchie rilevate dalla squadra di Taormina c’era dell’idrossiapatite, sostanza difficilissima da reperire in natura: questo portava a pensare che qualcuno avesse seminato delle macchie per simulare la fuga dell’assassino. Ma questa versione è stata smontata dal medico legale Carlo Torre: è stato lui a dimostrare che, quasi certamente, si trattava di semplici escrementi di cane. Tra gli indagati di cui è stata chiesta l’archiviazione ci sono, tra gli altri, il marito della Franzoni, Stefano Lorenzi, e i consulenti di parte Claudia Sferra ed Enrico Manfredi.