Thyssen: mano dura dei pm, chieste pene per quasi 70 anni
Sette morti sul lavoro valgono settantanove anni e mezzo di carcere. Tanti ne ha chiesti la pubblica accusa per i sei imputati del processo per il rogo alla ThyssenKrupp del dicembre del 2007.
Sedici anni e sei mesi di reclusione solo per l’amministratore delegato, Harald Espenhahn, il super dirigente tedesco accusato di omicidio volontario con dolo eventuale. Non si era mai sentita, in un’aula di giustizia italiana, una richiesta di pena tanto alta per un incidente di fabbrica, così come, del resto, non era mai stato contestato a un imprenditore l’omicidio per il decesso di un dipendente. Ma i familiari delle vittime (ai quali in aula si sono mescolate delegazioni di parti lese del caso Eternit e della strage ferroviaria di Viareggio in una sorta di alleanza del dolore) non sono contenti. Nell’aula della Corte d’Assise di Torino suona forte il grido “ergastolo”: a lanciarlo è Grazia Rodinò, la mamma di Rosario, una delle sette vittime. “La pena chiesta è troppo bassa. Spero che i giudici l’aumentino”.
Qualche metro più in là, davanti alle telecamere, una giovane donna si sfoga: “Sono tre anni che quei bastardi passano il Natale tranquilli. Noi no. Noi il 24 dicembre saremo al cimitero a piangere i nostri cari”. La difesa protesta per ragioni opposte: la richiesta, dice l’avvocato Ezio Audisio, è “esagerata e assurda “perché frutto di una impostazione giuridica sbagliata”.
“Abbiamo chiesto ciò che ci sembra giusto in scienza e coscienza”, ha detto a fine udienza il procuratore Raffaele Guariniello, il magistrato che ha coordinato le indagini e che ha sostenuto l’accusa con i pm Francesca Traverso e Laura Longo.
Tredici anni e mezzo per Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, e nove anni per Daniele Moroni. Ce n’è anche per la ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni spa, chiamata in causa come persona giuridica. I pm chiedono un milione e mezzo di multa, blocco e revoca di finanziamenti e sovvenzioni, stop a qualsiasi pubblicità per un anno, la pubblicazione della sentenza su quotidiani internazionali, il pagamento di 800 mila euro come “prezzo del reato”.