TORINO SOTTO NAPOLEONE, 200 ANNI FA
«Liberté, égalité, fraternité: i franseis an carosa e nuiatri a pé; Libertà, uguaglianza, fratellanza: i francesi in carrozza e noi a piedi» bisbigliano sarcastici i torinesi alle spalle dei «liberatori» che spadroneggiano in città. Sono gli anni dell’occupazione (1798-1814) quando il Piemonte diventa una provincia francese. Una fetta di storia che non si può ignorare nei 200 anni della morte di Napoleone Buonaparte
.I rivoluzionari attaccano il Regno di Sardegna. Nella «campagna d’Italia» piemontesi e austriaci sono sconfitti a Loano, Montenotte, Cosseria e Mondovì. Con l’armistizio (Cherasco, 28 aprile 1796) il Regno di Sardegna cede Nizza, l’Alta Savoia, le fortezze di Ceva, Cuneo e Tortona; si impegna a restare neutrale e a permettere il passaggio degli eserciti francesi. Per la miseria provocata dalla guerra, si susseguono ribellioni, aizzate dagli «infiltrati» francesi
Racconta lo scrittore Carlo Bossi: «La città non è mai stata tanto triste. Nelle piazze, nelle strade, ai passeggi non si vedono che francesi e nessun nazionale prende parte alle feste». Cinque giorni dopo la caduta della monarchia sabauda, il governo provvisorio, guidato dal generale Barthélemy-Catherine Joubert, fa erigere in piazza Castello – ribattezzata «Place nationale» – l’«albero della libertà»: attorno i torinesi (si presume prezzolati) declamano prose e poesie contro il passato regime, cantano la «Marsigliese», ballano e bruciano stemmi ed emblemi dei nobili: è la «rigenerazione della Patria».
Dodici anni di modernizzazione del sistema e della vita. Il Codice civile napoleonico abolisce le distinzioni e i privilegi nobiliari, la primogenitura e i vincoli ereditari; estende i diritti e la tolleranza religiosa; elimina le corporazioni; favorisce il commercio e la centralizzazione; abolisce dazi e barriere doganali; promuove la Camera di commercio, la Borsa e il Tribunale commerciale; accresce i poteri del sindaco a spese del Consiglio cittadino e allarga le competenze dell’amministrazione comunale a ordine pubblico, sanità, l’assistenza. Nella politica religiosa, Napoleone usa il pugno di ferro. Solo a Torino chiude 29 monasteri e conventi, confisca le proprietà – obiettivo, questo, di rivoluzioni, riformatori, liberali – e le vende ai privati per fare cassa. Cancella le confraternite; riduce da 17 a 8 le parrocchie cittadine ed esercita un rigido controllo su quelle rimaste. La presenza e il ruolo della Chiesa sono fortemente ridimensionati.
Sul piano culturale attua il coordinamento della ricerca e dell’istruzione; nomina rettore dell’Università l’ex ambasciatore Prospero Balbo, uno dei personaggi più prestigiosi. Le sue competenze riguardano non solo i 9 corsi universitari – medicina, chirurgia, veterinaria, scienze, matematica, diritto, lettere e studi classici, arte, musica – ma anche i collegi, le scuole elementari, l’Osservatorio astronomico, i musei, le biblioteche. L’Accademia delle Scienze diventa un vivace centro di dibattito scientifico, filosofico e storico, aperto al sapere europeo.
I piemontesi rimpiangono i tempi in cui chi comandava non fingeva di credere ai principi ugualitari. Toccano subito con mano la vera natura dei «liberatori»: nuove imposte, anche quella su porte e finestre che guardano verso 1e vie e i giardini; ghigliottina; miseria; fame persino negli ospedali; briganti che rapinano quello che lasciano i francesi. Più di 500 torinesi finiscono i loro giorni in piazza Carlina, dove i francesi hanno montato la modernissima ghigliottina. Progettata nella seconda metà del Seicento, piazza Carlo Emanuele Il diventa mercato del vino e durante l’occupazione francese, ribattezzata «Place de la Liberté», vi si eseguono le esecuzioni capitali. La ghigliottina soppianta la vecchia forca, chiamata «beata». La prima testa a cadere è quella della «bela caplera», un’adultera che aveva ammazzato il marito. Cacciati i francesi, la piazza torna Carlo Emanuele Il (Carlina).
A fomentare il malcontento c’è anche la questione urbanistica: ai francesi Torino appare antiquata e congestionata. Stilano l’elenco delle strutture da abbattere: oltre ai bastioni dell’antica cinta muraria e la torre civica con il toro mugghiante, c’è anche Palazzo Madama, e questo è davvero troppo per i torinesi. Ma il decreto di abbattimento stralcia Palazzo Madama che si salva. I francesi tracciano i grandi viali di circonvallazione e Napoleone pone fine all’indecoroso ponte di Porta di Po, per quattro secoli unico attraversamento del fiume, tra piazza Vittorio Veneto e la chiesa della Gran Madre.
Pier Giuseppe Accornero