IL COLERA A TORINO, 1835 ANNO TERRIBILE
Il primo contagiato a Torino è un barcaiolo che muore il 25 agosto 1835. Ma la prima vittima del colera, il 12 agosto, è Teresa Viola, albergatrice di Borgo Po, 59 anni. In viaggio a Cuneo, contrae il morbo che rapidamente divampa in Borgo Moschino nel Quartiere Vanchiglia, allagato periodicamente dal Po e focolaio di cicliche epidemie. In case fatiscenti abitano famiglie poverissime, lavandai, barcaioli e pescatori. Le classi indigenti sono le più esposte per le assenti condizioni igieniche – le fognature sono canali di scolo a cielo aperto –; per il sovraffollamento degli alloggi; per la scadente e carente alimentazione.
Borgo Moschino è il centro dell’epidemia – Nel 1831-32, nel terrore del «cholera morbus», il ministero degli Interni emana disposizioni sui cimiteri. Nel «Décret impérial sur les sepultures», più noto come «editto di Saint-Cloud» (12 giugno 1804) Napoleone Bonaparte dispone che i cimiteri siano dislocati fuori le cinte urbane. Il colera parte dall’India nel 1817; a Mosca nel 1830 fa 100 mila vittime; a Parigi nell’agosto 1832 muoiono 20 mila persone. Il «vibrio cholerae» non è un virus ma un batterio che si introduce nell’organismo attraverso l’apparato digerente anziché quello respiratorio. Ci si infetta toccando materia organica in cui c’è il batterio e poi portando le mani alla bocca o ingerendo la materia organica. In Italia l’ultima epidemia di colera è nel Napoletano nel1973.
In previsione del morbo l’amministrazione sabauda «rende i camposanti adeguati ad accogliere numeri elevati di cadaveri. Benché quasi tutti di nuova realizzazione, non erano abbastanza ampi e in alcuni luoghi, malgrado i divieti, si continuava a seppellire i cadaveri nelle chiese.
Quando appare il colera Torino non si fa trovare impreparata. Grazie alla prevenzione e all’organizzazione si limitano le vittime e si sconfigge la malattia in pochi mesi. Nel 1836 si registrano 11.241 contagi e 5.928 decessi in 212 Comuni. Nel 1837 sono coinvolti 64 Comuni con 4.863 contagi e 2.579 morti. Si adottano vari provvedimenti: una sottoscrizione aiuta i più bisognosi; la città è divisa in sei sezioni; una guardia medica funziona in alcune farmacie aperte 24 ore su 24; massiccia la purificazione: appena uno è infettato, si disinfettano casa e arredi; a Borgo Dora funziona un grande lavatoio pubblico dei vestiti e degli oggetti degli infettati e degli ospedali: sono irrorati da molto gas di cloro. Chi opera nella sanità deve disinfettarsi le mani con aceto e cloro liquido e i medici devono indossare un soprabito di tela gommata o cerata. Si raccomanda di non portare i defunti in chiesa e di fare sepolture veloci. Vicino a Rivoli un convalescenziario accoglie i guariti.
Ieri, come oggi, la regola sovrana è l’isolamento. Si attrezzano ospedali temporanei destinati ai colerosi e le vittime sono relativamente poche: lazzaretto militare (67 morti), lazzaretto San Luigi (48), lazzaretto Borgo Po (15), lazzaretto San Giovanni (16), lazzaretto a pagamento (2), ospedale Cottolengo (4). Raccontano le cronache: «Gli ammalati ricorrono con maggiore confidenza agli spedali ordinari, mentre diffidano degli spedali provvisori o lazzaretti, sia perché i cholerosi si crederanno sempre meno pericolanti quando saranno accomunati agli altri ammalati; sia perché l’esperienza ha provato che la riunione dei cholerosi agli altri malati non pregiudica la salute di questi». Quando la pandemia raggiunge il picco lo scenario è drammatico: molti si lasciano morire in casa; alcuni evitano di chiedere soccorso; altri sono condotti loro malgrado nei lazzaretti; pochi accettano spontaneamente di esservi ricoverati.
Il Municipio il 30 agosto invoca la Consolata - Per ottenere da Dio «la liberazione dal colera, o la diminuzione del male, o altro sollievo che fosse piaciuto a Dio di concedere alla città» – fa voto di restaurare la Cappella delle Grazie alla Consolata, di erigere nella piazza una colonna di granito sormontata da una statua in marmo della Madonna e il Corpo decurionale sarà presente il 30 agosto per sette anni alla Messa in santuario. A dicembre 1835 il contagio finisce. Il 28 maggio 1836 si pone la prima pietra della colonna votiva; il 20 giugno 1837, festa della Consolata, l’inaugurazione e la benedizione al canto dell’«Ave Maris Stella» e al suono delle campane.
Pier Giuseppe Accornero