IL COLERA E LA COLONNA DELLA CONSOLATA
A Torino il colera finì nel dicembre 1835. E fu subito festa di ringraziamento. L’arcivescovo Luigi Fransoni ordinò che nelle chiese si cantasse il «Te Deum». Sotto le volte della Cattedrale, del Corpus Domini, della Consolata e di San Rocco, protettore degli appestati, si ripetevano preghiere e inni, penitenze e promesse.
Come spesso accade è soprattutto al santuario della Consolata che i torinesi si rivolsero. Alla Patrona della città si dedicarono messe, preghiere ed ex-voto. Sulla piazzetta a fianco del santuario venne eretta la corinzia «Colonna del voto» opera dell’architetto Ferdinando Caronesi mentre la statua è dello scultore Giuseppe Bogliani.
Il 24 agosto 1835 era stato registrato il primo morto di colera anche a Torino, tale Giovanni Som, barcaiolo trentottenne che abitava al Moschino di Vanchiglia. Erano passati solo diciotto anni dalla prima epidemia di vaiolo, che aveva mietuto in città 281 vittime. Un vero incubo, che si era ripetuto tra il 1823 e il 1824, con altri 202 morti a Torino; un’ulteriore ondata epidemica di vaiolo, nel 1829, aveva contagiato 4.000 persone e causato ben 785 vittime. Ed ora, ci si metteva anche il colera, ormai presente in città, a rappresentare una minaccia non meno paurosa. Il morbo arrivò puntualmente sulle rive del Po: a Torino, infuriò meno che altrove – furono 349 i casi accertati, contro i 4.051 di Genova – ma il tasso di mortalità si rivelò altissimo: i decessi per colera furono 220, con una percentuale che superava il 60% dei malati.
Il maggior numero di vittime viveva nei borghi poveri e degradati, come in Vanchiglia. L’arcivescovo più volte invitò la popolazione terrorizzata a confidare nella Sindone e nella Consolata. A dicembre 1835 il contagio ufficialmente finì. E fudecisa l’ erezione della colonna come voto di ringraziamento.
Il 28 maggio 1836 si pose la prima pietra della colonna votiva; il 20 giugno 1837, festa della Consolata, l’inaugurazione e la benedizione al suono delle campane.
Un ruolo determinante lo svolse il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo che contribuì alla spesa con la somma di lire 35.000, ma la sua modestia e umiltà fecero in modo che la sua offerta risultasse come “raccolta della comunità”.
Mario Castelli