15 agosto 1935 – Si contano i danni del disastro di Molare
Un panorama spettrale dopo un disastro che provocò 111 morti e dispersi: i corpi di alcuni di questi furono trovati molti anni dopo.
All’alba di martedì 13 agosto straordinarie precipitazioni iniziarono ad abbattersi improvvisamente sulle valli di Orba e Stura: in meno di otto ore, caddero sulla zona oltre 40 centimetri di pioggia, e il livello dell’Ortiglieto salì in maniera preoccupante. Gli addetti ai lavori attivarono tardivamente l’unico scaricatore dei due principali utilizzabile, che si bloccò dopo poco tempo poiché intasato dalla melma; ebbero ancora il tempo di avvertire telefonicamente del pericolo le centrali elettriche delle vicinanze e le autorità locali. Verso le 13.15 il bacino non fu più in grado di contenere l’acqua.
Lo sbarramento secondario, quello della sella Zerbino, cadde riversando nell’Orba già in piena un fronte d’acqua fangosa largo due chilometri e alto venti metri, della portata di oltre 30 milioni di metri cubi.
A Molare l’acqua risparmiò il centro abitato: persero la vita tre persone, ma ingentissimi danni riguardarono la centrale elettrica, alcune cascine, gli argini artificiali e tutti i ponti. Le località al confine con la città di Ovada furono in gran parte distrutte e l’ondata inghiottì in quella zona almeno venti persone e una settantina di case.
Alle 14 l’acqua raggiunse il paese più grande della zona, Ovada, che all’epoca sfiorava i 10.000 abitanti. Danneggiati i ponti, furono rase al suolo trentacinque abitazioni e perirono sessantacinque persone; Dopo Ovada l’ondata colpì ancora i paesi di Silvano, Capriata (dove morirono quattro persone) e Predosa, per poi riversarsi nel Bormida. Con meno potenza furono allagati campi e abitazioni fino ad Alessandria; l’onda andò calmandosi dopo che, alle 14.30, la pioggia era cessata.
Tutto il disastro è ben narrato nel libro “storia della diga di Molare” di Vittorio Bonaria.