Torino e il jazz, amore da più di 85 anni
“Tutta l’anima mia/ rabbrividisce e trema e s’abbandona/ al saxofono rauco./ E’ una donna in balia di un amante, una foglia/ dentro il vento, un miracolo/ una musica anch’essa” Cesare Pavese (A solo di saxofono)
Sono passati più di 85 anni dal 15 gennaio 1935 in cui Louis Amstrong tenne il suo primo, e allora unico, concerto in Italia. Dove? A Torino ovviamente. Ma per capire quanto l’evento fu straordinario è necessario contestualizzarlo nel periodo storico. 1935: il Fascismo è imperante e l’Italia si sta preparando a invadere l’Abissinia. La musica jazz è invisa al regime e l’esibizione di un musicista di colore, anzi di un negro come si diceva all’epoca, non è certo così gradita.
E’ necessario però fare un passo indietro. Perché Armstrong scelse proprio Torino? Quale legame esisteva tra la città della Mole e la musica americana più cool dell’epoca?
E’ vero che i primi jazzisti provenienti dagli Stati Uniti approdarono a Milano e poi a Roma, ma Torino ha un sicuro primato: qui, nel 1933, fu fondato il primo hot club italiano. Gli hot club, progenitori degli attuali jazz club, si diffusero in Europa ancor prima che negli Stati Uniti, come sottolineato dallo stesso Amstrong nella sua biografia, l’apertura torinese fu preceduta, solo per pochi mesi, da Parigi con il suo Hot Club de France.
Negli anni ’30 Torino era quindi, un grande punto di riferimento per i jazzofili. Tutto ruotava attorno a un personaggio di rilievo, grande studioso e collezionista: Alfredo Antonino che, al Caffè Crimea, proponeva serate a tema e audizioni commentate dei dischi della sua immensa collezione. Possedeva infatti più di trecento 78 giri di musica jazz. Un patrimonio incredibile, per l’epoca un vero tesoro. E’ proprio su queste basi e sull’attenzione del pubblico che Antonino fondò il suo Jazz Club.
Tra gli appassionati del genere era notevole la presenza di alcuni tra i maggiori rappresentanti del mondo culturale cittadino e non solo. Antonio Gramsci aveva iniziato, fin dal 1927, a utilizzare metafore legate al jazz per spiegare, in modo alquanto originale, le speculazioni edilizie. Mario Soldati, indeciso tra il cinema, la letteratura e la critica dell’arte, dopo la laurea, decise di visitare gli Stati Uniti , si fermò per due anni, la lunga permanenza gli permise di scrivere il resoconto di viaggio America primo amore. Ma l’insaziabile curiosità del giovane , lo spinse a cercare ad Harlem la vera musica dei neri: “Un blues tutto rotto in contrattempi (…) Il sincopato è così abituale nella musica negra che si ha un senso di strana freschezza, quasi una perversione: come un’aranciata a chi da anni beve solo liquori”.
Ci fu poi Massimo Mila che nel 1929 fornì a Cesare Pavese il nominativo di un giovane musicista emigrato negli Stati Uniti dopo essersi diplomato al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino, Antonio Chiuminatto. Tra loro nacque una fitta corrispondenza. Pavese si faceva spedire testi che gli sarebbero tornati utili per il suo lavoro di traduttore, ma anche dischi di musica jazz, e non sono pochi i riferimenti usati dallo scrittore nei suoi romanzi.
Louis Amstrong cantò quindi al Teatro Chiarella, in via Principe Tommaso, uno dei più prestigiosi della città negli Anni Trenta. Inutile dire che fu un successo, la folla fu imponente, con lunghe code davanti al teatro, tanto che lo spettacolo fu replicato anche la sera successiva. Tra il pubblico entusiasta, spiccavano le figure di alcuni gerarchi in uniforme, il jazz coinvolse e travolse anche loro.
Nei duri anni della guerra il jazz fu costretto a vivacchiare da “carbonaro” ma, all’indomani della Liberazione, Torino risuonò immediatamente di musica nera; i musicisti riemersero dalle cantine e ripresero le loro esibizioni nei locali. Silvio Vernoni si assunse il compito di far risorgere il Jazz club. Lui che aveva militato durante la Resistenza tra le file di Giustizia e Libertà, aveva una fitta rete di amicizie, tra cui il famoso musicologo Massimo Mila.
La moglie, Lena Vernoni, ricorda di aver festeggiato la Liberazione all’hotel Majestic con Ferruccio Parri e il giovane Giorgio Bocca. In quei mesi iniziò il periodo d’oro dei concerti; tantisismi gli americani che venivano a suonare al Teatro Chiarella, allo Swing Club e al Cubino di via Lagrange. In quegli anni da Torino passarono grandi nomi, tra cui Joe Venuti, Sidney Bechet e Benny Goodman. I torinesi facevano sentire a casa i musicisti, tanto che organizzavano veri e propri comitati di benvenuto e non era raro che , alla fine dei concerti, gli ospiti si trattenessero per feste e jam session.
In anni più recenti, è obbligo ricordare l’impegno dell’Assessore alla cultura Giorgio Balmas che introdusse i concerti Jazz nei suoi Punti Verdi. Tra i musicisti jazz nati a Torino è importante ricordare il sassofonista Gianni Basso, il pianista Piero Angela, Nando (Fred) Buscaglione , Oscar Valdambrini, Enrico Rava e Gato Barbieri.
Oggi Torino, con il suo Jazz Club in piazzale Valdo Fusi, è più che mai attiva ed è considerata una delle sedi più carismatiche a livello internazionale, un luogo privilegiato per fruizione e ascolto.
Patrizia Durante.