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17 settembre 2014

Torino capitale della moda

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Con l’Esposizione Internazionale del 1902 Torino dà il via ad una vivacità culturale fatta di intellettuali, artisti e industriali, che spinta dalla diffusione di radio e cinema, contagia la nazione. l’industria torinese dell’abbigliamento conosce una rapida espansione consacrata con l’Expo del 1911 e con il lussuoso Padiglione della moda, i grandi atelier fanno di Torino una vera e propria capitale della moda, seconda solo a Parigi, dalla quale si importano i modelli, più che originalità, le griffe torinesi possiedono un’eccezionale abilità artigianale e realizzano abiti su misura dal gusto raffinato per la ricca clientela di tutta Italia.

Il centro città si costella di sartorie, tra le quali spiccano le Sorelle Costa, Gori, Sanet e La Merveilleuse, questa, fondata nel 1912 da Giuseppe Tortonese, contribuisce alla diffusione dello stile torinese attraverso le sue famose camicette prodotte fino a 30.000 all’anno e aprendo succursali a Roma, Milano, Genova e Napoli negli anni ’30 per le sartorie Torinesi lavorò l´italo-americano John Guida, autore di originali disegni di moda che ben rappresentano il mutare del gusto tra gli anni ´20 e ´40. Sicuramente i suoi numerosi viaggi tra Torino e Parigi lo ispirarono e i modelli da lui creati sono vere e proprie opere d´arte dotate di una sensibilità coloristica assolutamente unica.
Vera colonna portante è la figura della sartina, detta anche “Caterinetta”, in onore di S. Caterina di Alessandria protettrice delle apprendiste sarte, le “Caterinette” lavorano con orari lunghi, in condizioni pesanti e sottopagate per imparare il mestiere e un giorno forse, aprire il proprio atelier o alla peggio lavorare in casa. appena adolescenti, giungevano a bottega come “cite”, per i primi tre/quattro anni di lavoro ricevevano una paga poco piu’ che simbolica, imparavano a tenere d’occhio le colleghe piu’ sperimentate, al lavoro negli atelier per dieci, dodici ore al giorno, e anche di piu’ durante i
picchi della stagione mondana che si registravano a primavera e in autunno. I compiti piu’ semplici, ad esempio cucire gli orli dei capi gia’ confezionati, erano affidati al grado immediatamente superiore alle “cite”, vale a dire le “sedute”, per vedersi affidare la lavorazione di abiti importanti – quelli da sera, in seta o velluto, per esempio – occorrevano anni di esperienza, non bastava pero’ essere svelte e abilissime ma madre natura doveva aver fornito l’interessata anche di mani di velluto, e non solo in senso metaforico. Infatti la “premiere” o capo sarta, prima di affidare abiti impegnativi a una novellina procedeva a un esame delle mani e delle dita che dovevano essere curatissime e lisce, non sciupate dalle faccende domestiche, poiche’ la seta esigeva un tatto delicatissimo e alla minima ruvidezza si rischiava di tirare il filo.
Nel periodo fra le due guerre, la concorrenza di altre città affermate nel panorama della moda come Firenze, Roma e Milano viene subìta da Torino e frenata dal regime fascista. Con il supporto della casa regnante, Torino diviene sede dell’Ente Nazionale della Moda nel 1935, che tenta di stimolare una moda nazionale con provvedimenti protezionistici. stabilisce le date delle sfilate in anticipo di qualche mese su Parigi e obbliga i sarti a dichiarare che almeno il cinquanta per cento dei modelli sono degni del marchio di “italianità di tessuto e di ispirazione”. Peccato che la clientela continui a chiedere l’eleganza parigina e gli addetti si trovano a dover nascondere il marchio per non perdere le vendite, creatori e sarte resistono, anche dopo la liberazione, ma con una consapevolezza nazionale maggiore. San Lorenzo, Nebbia, le Sorelle Gambino e Mary Matté sono solo alcuni dei nomi importanti che rielaborano con gusto torinese la morbida linea di Chanel o il New Look di Dior, fino a poco prima del sopravvento del prêt-à-porter, la moda torinese inizierà la sua fase di declino, dettato dalla fine dell’apprendistato, dall’ascesa di Milano a capitale della moda e della dispersione del Made in Italy.

 



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