25 aprile 1911 – Muore suicida a Torino Emilio Salgari
Assillato dai debiti e dalla calamità famigliari, Emilio Salgari si uccide sulla collina torinese, non lontano dalla chiesa della Madonna del Pilone di corso Casale. Così recitano le biografie dello scrittore inventore di Sandokan e le cronache dell’ epoca, ma nessun aritcolo di giornale riesce a descrivere appieno lo stupore e lo sconforto che colpiscono i torinesi alla notizia, diffusasi in poche ore, che il celebre autore si è tolto la vita in una boscaglia, infiggendosi un rasoio nel ventre.
Era nato a Verona il 21 agosto 1862, ma era sempre vissuto in Piemonte, prima a Cuorgnè, poi a Torino. I torinesi lo considerano un loro concittadino e tantissimi conoscono gran parte dei 130 racconti e degli 83 romanzi d’ avventura che segnarono la sua prolifica attività di scrittore con il notevole successo di pubblico per personaggi come Sandokan o Janez, delle tigri di Mompracem, del Corsaro Rosso e di quello Verde. Tutti personaggi nati nelle stanze di corso Casale 205: Salgari sfornava libri su libri per mantenere la famiglia, non compì mai lunghe traversate oceaniche anche se i suoi libri sono un rincorrersi di viaggi, di cartine geografiche, d’ arrembaggi, di mappe. La sua situazione economica fu sempre precaria, ed anzi a partire dal 1903, quando la moglie Ida Peruzzi iniziò a dare segni di follia, si moltiplicarono i debiti che fu costretto a contrarre per poter pagare le cure. Nel 1910 la salute mentale della donna peggiorò ulteriormente e nel 1911 dovette entrare in manicomio. I contratti con gli editori obbligarono Salgàri a scrivere tre libri l’anno e per mantenere quei ritmi fu costretto a scrivere tre pagine al giorno. Scriveva fumando un centinaio di sigarette al giorno e bevendo vino marsala. Inoltre dirigeva un periodico di viaggi. Più che un problema di sottocompensi in proporzione alla mole di lavoro, il suo esaurimento nervoso fu dovuto soprattutto alla fatica e alla stanchezza. Non solo non guadagnava, ma non era nemmeno considerato dai circoli letterari dell’epoca, ultimo smacco alla sua dignità.
“Vi lascio solo 150 lire e un credito di 600 lire dalla signora Nusshammer. Fatemi seppellire per carità, essendo completamente rovinato. Mantenetevi buoni e onesti. Vi bacia tutti, con il cuore sanguinante, il vostro disgraziato padre” . Queste le sue ultime parole in una lettera indirizzata ai figli.
Ma in un altra lettera agli editori, scrive: “A voi che vi siete arricchiti sulla mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una semimiseria chiedo solo che, per compenso dei guadagni che vi ho dati, pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna”.