22 marzo 1897 – Nasce a Torino Ferruccio Novo.
Come giocatore ero una schiappa!” Questa frase così schietta e colma di autocritica, ben delinea il carattere di Ferruccio Novo, l’indimenticato presidente del Grande Torino. Figlio di una famiglia di piccoli industriali, come molti figli della borghesia, aveva studiato al Collegio San Giuseppe e proprio lì era nata la sua passione per il calcio. Nel 1913 era riuscito ad entrare nelle giovanili del Torino come difensore, senza comunque riuscire ad andare oltre alla squadra riserve.
Il colore granata gli era però entrato nel cuore e da lì era destinato a non uscire più. Ferruccio Novo rimase all’interno del Toro dapprima come sostenitore, poi come consigliere e nell’estate del 1939 ne divenne presidente. Era l’uomo giusto, e lo dimostrarono i risultati. Mentre il fratello Mario si occupava dell’azienda di famiglia, Ferruccio investiva tutto il suo tempo e le sue forze nel Torino, aveva l’esperienza accumulata in anni di permanenza all’interno della società e la preziosa vicinanza di Vittorio Pozzo, C.T. della Nazionale campione del mondo, ma fortemente legato al Torino.
Novo si ispirò ai club inglesi e la sua direzione era considerata dolcemente dittatoriale. Brillante oratore, sapeva anche ascoltare anche se poi faceva sempre di testa sua: aveva però la grande capacità di circondarsi di collaboratori intelligenti e molto esperti che sapevano come consigliarlo, primo fra tutti l’amico Roberto Copernico. A livello tecnico si affidò completamente a Ernest Egri Erbstein. La collaborazione con Pozzo gli consentì di individuare giocatori importanti ma anche futuri talenti, come Franco Ossola che a soli 18 anni e venne acquistato per una cifra modesta.
Nei primi due anni della presidenza Novo il Torino ottenne il sesto e il settimo posto, non erano risultati eclatanti, ma il progetto era avviato. E’ nel campionato 1941/42 che il presidente partì all’attacco: dalla Fiorentina arrivò Romeo Menti, Pietro Ferraris dall’Inter, il portiere Bodoira e due centravanti, Felice Borel e Guglielmo Gabetto dalla Juventus. Gabetto era stato dato per finito dai bianconeri, aveva solo 25 anni; nel Torino il Barone riuscì a dimostrare di essere solo a inizio carriera. Nel 1942/43 Novo acquistò dal Venezia Ezio Loik e Valentino Mazzola e il triestino Giuseppe Grezar, furono loro tre che portarono il Torino a vincere lo scudetto e la Coppa Italia. Lo scoppio della guerra causò grandi difficoltà al calcio, i trasferimenti erano impossibili per via dei bombardamenti, inoltre per evitare la chiamata alle armi, le squadre assicurano i propri campioni alle industrie più importanti del paese facendoli passare come elementi fondamentali per la produzione bellica nazionale. Novo con la Fiat riuscì a tenere unita la squadra e le famiglie, si incaricò personalmente di provvedere a tutti i bisogni economici e creò con i giocatori un rapporto di solidarietà che si tradurrà, a fine conflitto, in fedeltà assoluta alla maglia e devozione per il presidente. Valentino Mazzola, ad esempio, chiamò Ferruccio il suo secondogenito.
Nell’estate del 1945 il presidente completò l’ossatura della squadra, arrivarono Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Eusebio Castigliano, Mario Rigamonti e Virgilio Maroso. Romeo Menti, rientrerà al Torino l’anno successivo. Con questa formazione, dal 1945 al 1949, il Toro sbaragliò tutti i concorrenti e collezionò record su record: divenne il Grande Torino.
Il 4 maggio del 1949 il sogno di Ferruccio Novo, si schiantò sulla collina di Superga: il Grande Torino e tre quarti della Nazionale Italiana non c’erano più. Il presidente tentò di ricostruire la squadra, ricevette molte promesse d’aiuto che rimasero deluse. Nel 1953, non riuscendo a far rivivere il Grande Torino, Ferruccio Novo rassegno le dimissioni.
La perdita del fratello Mario prima, e della moglie poi, minarono la sua salute, morì l’8 aprile 1974 ad Andora in Liguria, dove si era ritirato.