Morte Matilda: i dubbi sulle intercettazioni ambientali
È mattina quando Elena Romani esce di casa, scortata dagli agenti penitenziari. Torna davanti al giudice per ascoltare insieme quelle intercettazioni che dividono accusa e difesa. La prova che è stata lei, la mamma di Vercelli, ad aver ucciso la piccola Matilda? O piuttosto la prova della sua innocenza? “…la mamma ti ha sempre amata… povero piccolino… non può essere vero….”. Fin qui solo lo sfogo, straziante di una donna disperata, intercettata all’indomani del delitto. Elena Romani è stata appena interrogata. Sta tornando a casa, visibilmente sconvolta. Non sa che nell’auto sono state piazzate delle microspie. È sola, piange, geme, parla alla sua bambina. Le sue parole però non sono chiare perché l’autoradio è a tutto volume. “Matilda, scusami… sono disperata”. Le chiede scusa, ma scusa di cosa? Forse di quel calcio che, secondo i periti, ne avrebbe provocato la morte? Accusa e difesa si dividono. Per l’una sono prova della sua colpevolezza, per l’altra della sua innocenza. La frase più controversa è però un’altra. L’accusa la traduce così: “Amore mio, non posso pagare per una cosa che non volevo fare”. Un’ammissione di colpevolezza, quindi. Ma per la difesa degli avvocati Tiberio Massironi e Roberto Scheda la trascrizione corretta è un’altra, opposta: “Amore mio non posso pagare per una cosa che non ho fatto”. Ma intorno a quelle frasi, alle perizie, alle testimonianze, la battaglia tra accusa e difesa sembra soltanto all’inizio. Intanto i pm di Vercelli Muriel Ferrari e Antonella Barbera, che indagano sulla morte della piccola Matilda, di 22 mesi, avvenuta il 2 luglio scorso a Roasio (Vercelli), hanno chiuso l’inchiesta a carico della madre, Elena Romani, di 31 anni, e ora formalizzeranno la richiesta di rinvio a giudizio nei suoi confronti per omicidio preterintenzionale.