Da Monticiano alla Triade, è capolinea Moggi
Lo hanno definito il “sistema Moggi” o ancora il “moggismo”. Oggi si può dire che questa epoca del calcio italiano è finita. Luciano Moggi, il più potente uomo-mercato degli ultimi 20 anni, nasce il 10 luglio del 1937 a Monticiano in provincia di Siena da una famiglia di modeste condizioni. I suoi biografi raccontano che la passione per il pallone gliel’ha trasmessa un panettiere di Grosseto, amico di famiglia, Graziano Galletti, che rimarrà legato a Moggi per tutta la vita. Il ragazzo lascia gli studi dopo la terza media e viene assunto dalle Ferrovie dello Stato. A Civitavecchia diviene vicecapostazione e gli viene affibbiato il soprannome di “Paletta”. Nel tempo libero però coltiva la sua passione per il calcio e gioca in varie squadrette delle serie minori. Ma capisce ben presto che non sarà certo da calciatore che potrà fare carriera e inizia a fare il talent scout. È meticoloso, dei giovani calciatori annota tutto e intanto frequenta i mediatori toscani. Alla fine degli anni ’60 entra a far parte dell’entourage di Italo Allodi, il manager calcistico che ha creato il miracolo-Mantova (dalla D alla A in quattro anni) e che ha fatto grande l’Inter di Moratti ed Helenio Herrera. Allodi passa alla Juventus nel 1970 e Moggi continua a segnalargli giovani talenti. Il primo colpo grosso è quello di Paolo Rossi. È l’inizio di una serie di intuizioni importanti che fanno crescere la sua fama e lo convincono a lasciare le Ferrovie per gettarsi a tempo pieno nel mondo del calcio. Moggi inizia a crearsi quella rete di osservatori che gli consente di tenere d’occhio centinaia di aspiranti campioni. Fra i colpi di questo periodo quello di Gaetano Scirea di cui caldeggia, l’acquisto con l’allora presidente della Juventus,Giampiero Boniperti. Poi è la volta di Causio. Ma Moggi vuole diventare un dirigente calcistico a pieno titolo e l’occasione gliela dà Gaetano Anzalone, che nel 1977 lo ingaggia come consulente ufficiale per il mercato. In questa veste riesce a portare in maglia giallorossa Roberto Pruzzo, soffiandolo proprio alla Juve di Boniperti. Roma gli consente di allargare la sua cerchia di amicizie importanti. Nel 1980 “Lucianone”, il soprannome che gli è stato dato dall’ambiente calcistico, passa alla Lazio come direttore sportivo, è l’epoca in cui esplode lo scandalo-scommesse (Moggi non ne sarà sfiorato): giocatori arrestati, sei squadre coinvolte, fra cui la stessa Lazio che sarà retrocessa in Serie B insieme col Milan. Nel 1982 Moggi approda al Torino, appena ceduto da Orfeo Pianelli a Sergio Rossi, che si è portato con sé l’avvocato Luciano Nizzola. Nella stagione 1984-85 il Torino sfiora lo scudetto piazzandosi secondo dopo il Verona. Nasce la fama di Moggi come più potente direttore sportivo italiano che non fa solo il direttore sportivo per i granata, ma allarga il suo raggio di azione al mercato di altre società. Nel 1987 Lucianone approda a Napoli, alla corte di Ferlaino, sempre col ruolo di direttore sportivo. Sono gli anni ruggenti di Maradona e delle sue intemperanze, della monetina sulla testa di Alemao nella stagione dello scudetto, della Coppa Uefa, della cocaina. Nel 1991 Moggi ritorna al Torino del nuovo presidente, il finanziere Gian Mauro Borsano che finirà nei guai con la giustizia per bancarotta e per i pasticci compiuti con i bilanci della società granata (fatture false, “nero” sulle compravendite di giocatori), che sfiorano anche Lucianone. Dalle indagini saltano fuori pagamenti per “interpreti” da mettere a disposizione di terne arbitrali prima di gare di Coppa Uefa. Dopo un breve passaggio alla Roma, nel ’94 Moggi inizia il suo lungo sodalizio con Giraudo e Bettega, nasce la Triade, con il suo corredo di vittorie, di sospetti e di polemiche che sono sfociate nello scandalo delle intercettazioni dei giorni nostri.