Warning: getimagesize(): Filename cannot be empty in D:\inetpub\webs\unannoinpiemontecom\wp-content\plugins\wp-open-graph\output.class.php on line 306

16 marzo 2005

Omicidio tassista: ucciso perché non trovava la strada

 “Si, l’ho ucciso io. Voglio raccontare come è successo”. Dopo un’ora e mezzo di interrogatorio, Aldo Montessoro è crollato davanti al sostituto procuratore Riccardo Ghio, che conduce l’inchiesta sull’omicidio del tassista genovese Alessandro Garaventa, 36 anni, avvenuto la notte tra il 23 e il 24 giugno scorso a Monterotondo di Gavi. Prima l’ex vigilante di Genova aveva cercato di ribattere alle contestazioni, ripetendo di essere stato un testimone dell’omicidio, compiuto da alcuni sconosciuti che gli avevano preso la pistola calibro 7,65. Il magistrato lo ha incalzato, gli ha contestato una serie di elementi e Montessoro, piangendo, alla fine ha ammesso e ha raccontato la nuova versione. Quella sera voleva uccidersi, era disperato per la moglie malata, la difficile situazione finanziaria (lo stipendio non gli bastava per restituire i prestiti, 2.000 euro al mese solo di interessi passivi) e le sue condizioni di salute (è diabetico ed è stato sottoposto a diversi interventi chirurgici che hanno lasciato gravi conseguenze). “Volevo ammazzarmi nella zona di Gavi, dove avevo trascorso l’infanzia e in particolare in una zona di Monterotondo dove andavo con mia moglie, vicino a un boschetto. Avevamo persino pensato di ritirarci lì e costruirci una casetta”. Il 23 giugno Montessoro esce di casa dicendo che deve sostituire un collega, invece va alla stazione Principe. Non ci sono treni, sale sul taxi “Gamma 88” di Garaventa. Sono le undici di sera. All’uscita dal casello di Serravalle, indica la strada per Monterotondo, deciso a scendere appena fosse riuscito a individuare la stradina che porta nel bosco, nel luogo dei ricordi più belli. A causa del buio, però, non riesce a vederla e, secondo il suo racconto, il tassista comincia a innervosirsi perché vuole tornare a Genova essendo a fine turno. Iniziano a discutere, Garaventa si ferma e a questo punto il vigilante perde la testa. Estrae la pistola, l’altro cerca di farlo scendere e si china come per prendere qualcosa. “Pensavo avesse un coltello o un’arma. Ho sparato due colpi, poi sono sceso e ne ho esplosi altri due”, ha raccontato Montessoro. Dopo la confessione, oggi l’altro suo momento drammatico è stato l’incontro con la moglie Maria Grazia, la figlia Alessandra e un parente. Ha potuto rimanere con loro una ventina di minuti, prima di essere portato nel carcere di piazza don Soria. Abbracci convulsi e lacrime, lui che dice: “Vi chiedo perdono”; i familiari che assicurano: “Non ti lasceremo solo”.

 



» ELENCO ARTICOLI 2005 » Un anno in Piemonte «
Stampa
© 2024 ENNECI Communication | Powered by WordPress | Designed by Manager Srl